La gestione dei rischi esterni (ERM – External Risk Management) rappresenta un’evoluzione strategica nell’approccio alla cybersecurity: affrontare le minacce che si originano al di fuori del perimetro tradizionale, là dove oggi nasce la maggior parte degli attacchi informatici. I cybercriminali non si fermano più al firewall. Con l’espansione della presenza digitale – tra cloud, endpoint remoti e fornitori terzi – aumenta anche l’esposizione a rischi invisibili.
Eppure, molte strategie di sicurezza restano concentrate sulla difesa interna. Mentre EDR, firewall e SIEM continuano a monitorare ciò che accade “dentro casa”, gli attaccanti sfruttano ciò che resta fuori campo: dalle credenziali trapelate nel dark web agli asset cloud mal configurati, ogni punto cieco diventa una potenziale porta d’accesso.
Per anticipare le minacce, non basta rilevarle, serve visibilità. È qui che entra in gioco la riduzione dell’esposizione a minacce esterne – ciò che Frost & Sullivan definisce appunto Gestione dei Rischi Esterni (ERM).
Perché la superficie digitale non finisce al firewall
Le organizzazioni moderne operano ben oltre i confini della rete interna, ampliando la propria superficie d’attacco attraverso:
- Carichi di lavoro nel cloud
- Dipendenti remoti
- Strumenti di terze parti
- Servizi esposti a Internet
Secondo le stime, si tratta di una crescita del 133% annuo degli asset digitali, un’espansione che introduce rischi in aree dove gli strumenti tradizionali non arrivano.
Firewall, EDR e SIEM sono ancora essenziali, ma sono progettati per fornire visibilità interna. Non rilevano bucket S3 esposti, pagine di phishing che imitano il tuo brand, né credenziali rubate in vendita nel dark web.
Senza visibilità esterna, gli attaccanti hanno gioco facile. I team di sicurezza devono iniziare a proteggere tutto ciò che è connesso a Internet, non solo ciò che si trova all’interno del perimetro aziendale.
L’ascesa del cybercrimine come industria
Il cybercrimine è oggi una vera e propria industria scalabile. Con l’ascesa del Cybercrime-as-a-Service (CaaS), gli attaccanti non hanno più bisogno di competenze avanzate, ma solo dell’accesso giusto al mercato.
Nel dark web è facile trovare:
- Kit di phishing pronti all’uso
- Broker di accesso iniziale
- Credenziali rubate
- Strumenti di accesso remoto
Tutto ciò abbassa la barriera d’ingresso e aumenta la velocità d’attacco. Una sola credenziale compromessa o un asset mal configurato possono scatenare una breccia su larga scala, spesso anticipata da settimane di attività visibili su Telegram o nei forum underground.
Gli attacchi che sfruttano credenziali compromesse sono aumentati del 71% su base annua, mentre il costo medio di una violazione continua a salire di milioni.
I team di difesa non hanno bisogno di altre allerta, ma di intelligence proattiva che sveli cosa stanno già preparando gli attaccanti.
La mancanza di visibilità è la vera vulnerabilità
La maggior parte delle violazioni non avviene perché gli attaccanti sono più bravi, ma perché le organizzazioni non vedono cosa hanno esposto. Molto spesso, i punti ciechi passano inosservati finché non è troppo tardi. Alcuni esempi includono:
- Shadow IT
- Sottodomini dimenticati
- Asset cloud non protetti
- Credenziali esposte
L’impatto della “alert fatigue”
Nel frattempo, i team di sicurezza sono sommersi da allarmi generici e strumenti non integrati, privi del contesto esterno necessario per dare priorità agli incidenti. Con il volume crescente di dati e il margine d’errore umano, gestire la superficie d’attacco manualmente è impossibile.
Senza visibilità su come gli attaccanti individuano e colpiscono gli asset esposti – spesso già in vendita online settimane prima – i team reagiscono invece di prevenire, con conseguenze gravi:
- Danno reputazionale: attacchi come quello a SolarWinds generano pubblicità negativa, perdita di fiducia, crollo in borsa e mancati ricavi.
- Sanzioni regolamentari: violazioni di normative come GDPR o HIPAA possono tradursi in multe salate, azioni legali e controlli aggiuntivi.
- Interruzioni operative: la mancanza di visibilità rallenta il rilevamento e la risposta, compromettendo continuità e produttività aziendale.
ERM secondo Frost & Sullivan
Frost & Sullivan definisce la Gestione dei Rischi Esterni (ERM) come il passaggio strategico da una difesa perimetrale a una protezione proattiva dell’intera superficie esposta a Internet. ERM non si limita a monitorare log ed endpoint, ma punta a intercettare il comportamento degli avversari, le attività nel dark web e la presenza online degli asset aziendali esposti.
I pilastri dell’ERM
- Cyber Threat Intelligence (CTI) Capire chi attacca, perché e come – basandosi su dati reali, non su ipotesi.
- External Attack Surface Management (EASM) Monitoraggio continuo per identificare e ridurre l’esposizione di asset mal configurati o dimenticati.
- Digital Risk Protection (DRP) Rilevare furti di credenziali, impersonificazioni del brand e fughe di dati nel dark e deep web.
- Third-Party Risk Management (TPRM) Valutare e mitigare i rischi legati a fornitori, partner e terze parti.
- Intelligenza Artificiale Generativa Automatizzare l’analisi di grandi volumi di dati esterni per rilevare minacce in tempo reale e stabilire priorità.
I benefici della gestione dei rischi esterni
- Visibilità completa su asset esposti, vulnerabilità e rischi legati a terze parti
- Sicurezza proattiva, grazie all’intelligence in tempo reale
- Maggiore efficienza operativa, con meno attività manuali e analisi più rapide
- Riduzione dei costi legati a incidenti e frodi
- Miglior compliance con una gestione chiara e strutturata dei rischi
- Collaborazione potenziata tra team, grazie a una visione condivisa
La proposta di KELA
In KELA, chiamiamo questo approccio “riduzione dell’esposizione alle minacce esterne” – ed è esattamente ciò che offriamo ogni giorno.
La nostra piattaforma consente alle organizzazioni di scoprire le minacce al di fuori dei propri confini, per intervenire prima che sia troppo tardi.
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